Insights 15 Ottobre 2024

Wellbeing. L’HR del Futuro

Marco Poggi

Presidente

Enrico Gambi

Principal

articolo su HBR Italia a cura di Marco Poggi ed Enrico Gambi

In un’epoca in cui i cambiamenti non sono più incrementali, ma di natura esponenziale e costante, siamo portati a interrogarci su come l’essere umano stia rispondendo dal punto di vista mentale, relazionale, emotivo e fisico e se sia in grado di adattarsi e, perché no, di prosperare.

La domanda nasce da due elementi, forse contrapposti:

  1. Sviluppare flessibilità cognitiva. Competenze alla base della creatività e dell’innovazione, necessarie per agire in nuovi contesti; agilità emotiva, per gestire al meglio l’assenza di punti di riferimento; capacità di apprendimento continuo, per stare al passo della “distruzione creativa” che la tecnologia sta portando nella società e soprattutto all’interno delle aziende.
  2. Confusione mentale e affaticamento cognitivo. Accelerazione e incertezza portano facilmente l’essere umano al disorientamento. Una condizione che sovra-stimola il meccanismo di sopravvivenza per eccellenza, quello di attacco e fuga: la risposta più istintiva alle sfide, che porta a vivere le relazioni in modo più asimmetrico, a indugiare in fantasie catastrofiche che generano ansia cronica e rigidità di comportamento piuttosto che entusiasmo verso il nuovo (Gallup, 2023).

Questa condizione o dilemma è particolarmente evidente nelle organizzazioni moderne. C’è bisogno di innovazione, creatività, capacità di resistere agli “urti della vita”, cooperare con gli altri perché da soli non possiamo andare lontano, apprendere costantemente per modificare abitudini, routine e comportamenti per stare al passo con i cambiamenti.

I dati (Clifton 2021) e l’esperienza empirica ci raccontano che qualcosa non sta funzionando. I luoghi di lavoro sono sempre più posti in cui sofferenza, lamento, insoddisfazione, senso di inadeguatezza stanno dilagando e in cui dare il massimo è sempre meno pensabile e soprattutto desiderabile. Come si può chiedere di essere innovativi e coinvolti quando non si sta bene?

IL MONDO DEL LAVORO È ANCORA SOSTENIBILE?

Amministratrici e Amministratori Delegati, Direttrici e Direttori Generali, HR sono chiamati a rispondere o cercare di ricongiungere i poli estremi di questo dilemma.

Tradizionalmente, le soluzioni HR e organizzative si sono sempre occupate di come rendere produttive le persone in funzione delle richieste del business, cercando di garantire impegno e motivazione. È necessario un cambio di prospettiva: da “come porto le persone a dare il massimo” a “come le porto a dare il meglio di sé”. Non si tratta solo di semantica. È uno spostamento sottile ma importante di focus che si porta dietro un cambio di paradigma: da efficienza (fare sempre di più con meno) a efficacia (fare diversamente, fare le cose giuste), da risorsa umana (sfruttabile) a persona nella sua interezza, da output a impatto, da massimizzare lo shareholder value a generare valore per tutti gli stakeholder.

Per fare questo salto, è necessario introdurre nel lessico manageriale/HR un nuovo concetto che va oltre la parola engagement (intesa come dedizione a dare il massimo per l’output, il lavoro, l’azienda, la carriera): quello del wellbeing. Non è un sinonimo, ma un costrutto di ordine logico diverso, che include l’engagement e lo amplia, integrandolo con l’equilibrio, la vocazione, le relazioni generative, l’auto-realizzazione. Perché una persona può essere estremamente engaged, ma anche arrivare al burnout.

Il wellbeing non è però solo “stare bene”. Questa è una visione edonistica, importante ma incompleta. Il cuore del concetto è “essere bene”. È un’idea che abbraccia l’intero essere umano, in tutte le sue sfaccettature e che tocca il tema della fioritura (flourishing): la ricerca della propria auto-realizzazione, perseguendo obiettivi e scopi importanti, sfruttando i propri talenti e vocazioni e cooperando generativamente con gli altri.

La definizione di wellbeing, inteso come fioritura, è l’anello di integrazione del dilemma e il focus futuro di chi si occupa di business e soprattutto di persone. È la chiave per ridare sostenibilità al mondo del lavoro.

È un’idea trasformativa e necessaria per le organizzazioni moderne. Il cambiamento che sta avvenendo è troppo profondo e radicale per aggiornare semplicemente gli schemi di gioco e le strutture di pensiero di ieri.

Far fiorire le persone,

per far fiorire il business

Serve cambiare strategia, perché, come diceva Einstein, “non puoi risolvere un problema allo stesso livello di pensiero che l’ha creato”.

Certo, in una logica di breve periodo, il wellbeing può apparire in contrasto con le performance, ma questa mentalità, nel lungo periodo, ha un prezzo proprio sulla sostenibilità delle performance stesse. Great resignation, quiet quitting, bassi livelli di engagement e difficoltà di recruiting sono tutti fenomeni che ce lo stanno indicando.

Restando nella cornice dominante del ritorno sugli investimenti, il wellbeing è uno degli investimenti di lungo periodo più saggi e solidi che un’azienda possa fare, forse meno tangibile di investimenti in impianti, brevetti, acquisizioni, ma altrettanto strategico.

Il salto invece necessario è costruire culture e processi
di lavoro intrisi di wellbeing.

Il wellbeing va creato nel lavoro e non solo prima o dopo il lavoro.

Non parliamo solo di investimenti in iniziative di welfare integrativo, servizi ai dipendenti che ampliano il loro total reward, corsi yoga o di mindfulness. Questo è un modo di pensare al wellbeing principalmente in chiave edonistica (lo stare bene), perseguibile con attività e iniziative sporadiche, magari esotiche o di moda, che compensino o rendano più digeribile il lavoro.

COSTRUIRE ECOSISTEMI DI FIORITURA

Come possiamo costruire culture organizzative e di lavoro in cui il benessere e il fiorire delle persone abbiano lo stesso peso delle performance? La sfida non è semplice e richiede sia un ripensamento o evoluzione di convinzioni e aspetti culturali, sia un approccio sistemico per affrontarla da più prospettive. Nella nostra esperienza, le dimensioni su cui intervenire sono rappresentabili in un triangolo.

Il primo vertice del triangolo è quello delle persone. Il wellbeing e la fioritura sono, in primis, una responsabilità del singolo. Per quanto un’azienda possa mettere in campo azioni e iniziative, ognuno di noi deve prendersi la responsabilità di fare scelte consapevoli per gestire il proprio wellbeing. Diviene però importante per un’azienda fornire strumenti, skill e mindset alle persone perché possano riuscirci.

Questa prospettiva viene approfondita in questo speciale da due articoli:

  • “Personal Flourishing. Dal benessere individuale alla performance organizzativa”. Sviscera nel dettaglio come ciascuno di noi può fiorire
  • “Trasformazione digitale. Navigare tra rischi e opportunità”. Esplora il ruolo che le tecnologie, e in particolare quelle positive, hanno e avranno nell’alimentare il wellbeing delle persone.

Il secondo vertice riguarda la leadership. Il ruolo dei/delle leader è fondamentale nell’influire sul benessere, sia a livello personale che dei team con cui interagiscono. Una leadership efficace, ancorata a principi di performance, equilibrio e flourishing, contribuisce significativamente all’evoluzione positiva della cultura del benessere in un’organizzazione e alla sostenibilità delle performance. Questa prospettiva sarà approfondita dall’articolo “Manager aspiranti Leader” che farà luce su come perseguire wellbeing e fioritura del team sia la via per avere una leadership veramente riconosciuta.

Il terzo vertice riguarda il livello organizzativo. In tempi come questi, in cui le aziende sono alle prese con sfide senza precedenti e richieste crescenti, non basta più offrire iniziative frammentate di wellbeing, ma serve intervenire anche sull’organizzazione del lavoro, ripensando processi e pratiche (in particolare HR quali onboarding, performance, training, career, reward, incentivazione, smart working, ecc.) che impattano sull’esperienza di lavoro delle persone. Si deve entrare nel mondo dell’employee experience e iniziare a riprogettarla anche sulla base di bisogni, criteri e meccanismi che facilitino benessere e fioritura.

Il cuore interno al triangolo è la cultura. L’insieme di assunti, valori e convinzioni che guidano il comportamento e le scelte, individuali e organizzative. Causa ed effetto allo stesso tempo, la costruzione di ambienti flourishing richiede obbligatoriamente di portare gli stakeholder chiave a riflettere e portare alla luce il set di convinzioni specifiche di ciascuna azienda e di stimolarne un’evoluzione coerente.

Come tenere insieme queste quattro dimensioni? È qui che è importante avere un approccio strategico, che sia in grado di guidare la leadership di un’azienda a intraprendere questo viaggio. L’articolo “Strategia di Wellbeing Aziendale. Il Valore del Benessere” esplora come percorrere questa strada.

DIVENTARE WELLBEING DESIGNER

Dentro la grande partita per la sostenibilità in cui aziende, Paesi e ONG stanno cercando di trovare una strategia vincente, l’HR gioca un ruolo speciale nell’affrontare l’insostenibilità del mondo del lavoro. È quindi, per ruolo e missione, il primo a dover raccogliere il guanto della sfida che la contemporaneità sta ponendo nella gestione delle persone nelle organizzazioni.

Lungi dal fornire ricette prestabilite e soluzioni immediate, dal nostro costante dialogo con e tra mondo accademico e vita aziendale, ci sono alcuni punti di vitale importanza nella trasformazione del ruolo dell’HR all’interno di questa sfida:

  • Fioritura personale. “Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo”, diceva Gandhi. Intraprendere personalmente un proprio percorso di flourishing, prendendosi cura del proprio equilibrio, entrando in connessione sempre più profonda con i propri scopi e valori più alti e realizzando il proprio potenziale e le proprie virtù come essere umano, è ciò che fornisce forza, autenticità e resilienza al messaggio di cambiamento che si vuole portare.
  • Diventare esperti ed esperte di wellbeing organizzativo, allargando le proprie competenze sui temi di psicologia positiva, neuroscienze e behavioral science per aumentare l’autorevolezza con cui sensibilizzare il proprio network.
  • Agire e promuovere una leadership sostenibile, invece che meramente estrattiva. Saper generare risorse invece di estrarre solo performance è il miglior esempio e leva di influenza verso i propri “clienti interni” manager di linea.
  • Adottare un approccio e un linguaggio da designer, creando progetti in una logica human centered service design. Sviluppare quindi empatia e ascolto dei bisogni umani delle diverse tipologie di persone, pensare in modo divergente, co-disegnare e prototipare soluzioni con i destinatari stessi. L’HR vive di benchmarking, best practice e costruzione e vendita interna di soluzioni pensate a porte chiuse. Partire dalle persone e dalla loro esperienza è già un’azione di fioritura per tutte le parti in gioco.
  • Evolvere il proprio nome: da HR Business Partner ad HR People Partner. Per troppo tempo il nome HR Business Partner ha significato e sottinteso un partner del business, implicando una dominanza indiscussa di quest’ultimo sulle persone. Ma se andiamo alla genesi di questo appellativo, HR Strategic Business Partner (Ulrich, 1996), ci accorgiamo che, rispetto al modello originale, si è persa per strada una parte importante di quel modello: quello di employee advocate. È ora di ridarle valenza e dignità.