Followership
Perché parlare di followership
Leadership e followership sono due facce della stessa medaglia, ma siamo abituati a vederne e a studiarne una sola.
Digitando followership su Google, si trovano migliaia di pagine corrispondenti alla parola leadership. Per non parlare dei seminari aziendali, tra i quali si trovano moltissimi titoli che contengono la parola “leadership”, ma non risulta nulla che richiami il tema dello sviluppo della followership. Persino il correttore automatico del computer segnala errore in un caso e non nell’altro.
La followership non è considerata nella riflessione manageriale e organizzativa. I modelli culturali nei quali siamo cresciuti valorizzano in maniera netta la figura del leader tanto quanto liquidano quella del follower, nonostante ci siano sempre stati motivi d’interesse per questa figura, e in campi di studio disparati: non esistono leader senza follower, e non potrebbero avere successo senza follower capaci e supportivi.
Inoltre, in questa società “liquida”, come la definisce Baumann, nessuno è solo leader o solo follower, ma si è l’uno e l’altro contemporaneamente, e capita di passare da una posizione all’altra più volte.
Occuparsi dei follower è necessario quando diventa evidente che non basta più il 20% del personale, per quanto scelto e motivato, a garantire il successo delle strategie.
La followership è un punto di vista fondamentale per indagare come innalzare il livello di contributo dei collaboratori, migliorandone sia il commitment verso l’azienda sia il valore. Follower significa “seguace, compagno, sostenitore, innamorato”; vuol dire capacità di seguire, di essere Per follower non si intende i collaboratori da un certo livello/ruolo in giù, ma coloro che si trovano nella situazione di seguire e/o di partecipare a qualcosa guidato da altri, come per esempio il dirigente che fa parte di un gruppo di lavoro coordinato da un quadro.
compagno di viaggio, sostenitore, di fare tutto quello che serve per raggiungere obiettivi che spesso altri (i leader) hanno fissato. Sviluppare la followership significa allora migliorare la capacità di essere di supporto ai leader e all’azienda.
Modelli ideali di follower
I principali autori di riferimento sul tema della followership sono R. Kelley, I. Chaliff, B. Kellerman, R. Magnone e F. Tartaglia. Il loro merito fondamentale è stata la proposta di chiavi di lettura per orientarsi nella massa indifferenziata dei follower offrendo articolazione e identità.
Secondo il modello di follower per tipologie, in base al tipo di partecipazione e iniziativa nei confronti del leader e/o dell’azienda (attività/passività), e all’assunzione di una posizione di adattamento o di confronto (pensiero adattato/critico), possiamo distinguere tra:
– conformisti, che sono contemporaneamente attivi e disponibili, partecipativi e acritici; non mettono in discussione quello che gli si chiede di fare né per contestarlo né per migliorarlo, ma si muovono con energia;
– partner, che sono attivi e partecipativi, assumendosi la responsabilità di confrontarsi apertamente con il leader e dare la loro opinione anche se non richiesta; rimangono fedeli e in fondo allineati, ma non subordinati;
– controdipendenti, che criticano e contestano, senza fare molto per modificare la situazione; tendono ad attribuire la responsabilità degli eventi ad altri – non solo al leader –, limitandosi a puntare il dito evidenziando le negatività;
– passivi, che fanno con relativo impegno quello che si “comanda” loro e non vanno oltre, con un atteggiamento di sospensione dell’azione e del pensiero e un rapporto spesso alienato con l’organizzazione e il leader.
Applicare un modello per tipologie ha l’obiettivo di focalizzare lo sviluppo dei follower verso i profili ritenuti più efficaci per l’organizzazione. I passi da compiere sono i seguenti.
1. Identificazione del profilo ideale per la specifica situazione di business e per l’identità organizzativa
Viene spontaneo pensare al partner come profilo ideale di follower, cosa vera nella maggioranza dei casi, ma da considerare con prudenza, in base al business e al tipo di cultura aziendale. A questo proposito è interessante il concetto di oscillazione tra tipi, in funzione delle condizioni interne e di business con cui si confronta l’azienda, quindi non un solo tipo ideale e tre da modificare e “far crescere”, ma quattro tipologie tutte valide potenzialmente, in funzione delle situazioni esterne e interne dell’organizzazione.
Oscillazione tra modelli significa essere consapevoli della relazione sistemica che si innesca tra ambiente e tipo di follower, di come intervenire sull’uno attraverso l’altro e di quali risultati si vogliono ottenere.
Per quanto riguarda il business, per esempio, qual è il contributo richiesto alle persone? Quale spazio è realmente possibile offrire? Serve un comportamento attivo ma conforme (si pensi a un call center o alle attività bancarie e/o assicurative) o sfidante/innovativo (per esempio nei settori dell’impiantistica o dell’energia)?
Per quanto riguarda la cultura diffusa, portare il sistema a una relazione di reale partnership è difficile se l’organizzazione non è abituata al confronto interno e molte saranno le resistenze da entrambe le parti. In questa situazione al concetto di profilo ideale bisogna sostituire quello di profilo possibile.
2. Mappatura
Come si collocano le persone all’interno dei quadranti considerati? Prima di tutto, correlando i profili di follower a caratteristiche rilevabili attraverso pratiche di valutazione e poi adottando sistemi di valutazione volti a mappare un numero potenzialmente elevato di persone in modo rigoroso ma economico. Gli strumenti più indicati sono batterie di test on-line (il PF16 per l’indagine sulla personalità, il WIS sugli orientamenti valoriali, il GMA sulle capacità cognitive, il DISC o il Myers-Briggs) e procedure di aggiornamento periodico demandate ai singoli. I test producono profili standard, ben sperimentati, che devono essere correlati ai tipi di follower.
3. Identificazione di percorsi di sviluppo e/o di mantenimento
È importante far riflettere le persone sul loro rapporto con l’autorità e con l’azienda in genere, con metodologie affini all’ambito del “bilancio di competenze” e una logica simile a quella utilizzata negli outplacement: prendere coscienza dei propri desideri e delle proprie competenze e porsi in un atteggiamento mentale che le valorizzi il più possibile, senza pregiudizi e rigidità, chiedendo anche all’azienda di fare lo stesso.
Per quanto riguarda le modalità di erogazione, sono più indicati i gruppi reali, composti da capi e collaboratori, rispetto ai gruppi omogenei per livello o posizione, proprio per abituare persone di livelli diversi a confrontarsi in modo aperto e produttivo.
Con aspettative crescenti sui risultati, si deve intervenire sul rinforzo individuale e/o di gruppo attraverso attività di coaching o di mentoring e di peer mentoring, e sui sistemi istituzionali di gestione – criteri di selezione, valutazione delle prestazioni, sistema premiante ecc. – per far convergere le leve di influenzamento del comportamento individuale sullo stesso obiettivo: lo sviluppo della followership.
In tale processo la comunicazione ha un ruolo centrale, nella misura in cui una precisa strategia di informazione fornisce chiarezza e senso a tutti i protagonisti.
A ciascuno la propria opportunità
A causa della crisi molte aziende hanno bloccato le assunzioni, smussando di conseguenza molte rigidità e preconcetti sulla possibilità di utilizzare persone già presenti in azienda ma non perfettamente allineate ai profili richiesti; si è cominciato allora a guardare con maggiore attenzione agli interni, dando opportunità a chi forse pensava di non averne più e mobilitando, con buoni risultati, energie e desideri un po’ spenti o poco utilizzati.
L’eccesso di rigidità e di semplificazione tipico dei modelli troppo “quadrati” da diversi anni è diventato un limite: la realtà appare più ricca e articolata di quanto questi modelli riescano a cogliere e la semplificazione, per quanto valida in certi casi, spesso non aiuta a capire realmente il mondo.
Siamo sicuri che sia utile una gabbia che riduce la complessità (e la ricchezza) a quattro o sei tipologie?
Il secondo livello della followership parte da questo presupposto: non esistono profili ideali ma tanti profili, molti, se non tutti, utilizzabili per le mutevoli esigenze aziendali.
È la rivincita della “biodiversità” sulla monocultura, della diversità sull’omogeneità.