Benessere organizzativo e tecnologie positive
REALTÀ VIRTUALE: LA NUOVA VIA PER UN LAVORO IBRIDO PERFORMANTE E FELICE
Abstract
La pandemia ha cambiato per sempre il mondo del lavoro: oggi si parla infatti di New ways of working per indicare il fenomeno dei nuovi modi di comunicare, collaborare, ideare, produrre all’interno delle aziende. Cosa accomuna queste nuove modalità di lavoro? Una forte componente di smart working e il correlato aumento esponenziale delle tecnologie utilizzate (email, messaggi su piattaforme aziendali e non, videochiamate, riunioni su Teams, formazioni digitali…). Questa iperconnessione, che va oltre l’orario d’ufficio (se ancora di questo possiamo parlare) e ci segue ovunque andiamo, ci sottopone inevitabilmente a dei rischi. Perdita di concentrazione, stanchezza, isolamento, ma anche demotivazione e stress, sono fenomeni che, in parte, possono essere collegati ad un cattivo uso della tecnologia. Ma non esiste solo il lato oscuro. In questo articolo portiamo l’attenzione sull’altro lato della medaglia: le tecnologie positive, cioè un utilizzo consapevole e intelligente degli strumenti tecnologici, volto a migliorare la qualità della nostra esperienza personale. Tra queste, la Realtà Virtuale appare quella più interessante e potente, anche in azienda.
Articolo scritto in collaborazione con Viola Dadda
Si stava meglio prima…
“Si stava meglio prima”: quante volte hai sentito pronunciare questa frase? Sul lavoro allude ad un tempo migliore, in cui si narra si andava più facilmente d’accordo, si era meno stressati, si aveva più tempo per fare le cose… Ma era davvero così? Sicuramente il nostro modo di lavorare è cambiato molto in poco tempo: i processi di digitalizzazione erano già in corso, ma la pandemia ha accelerato la trasformazione digitale, abilitando tutti noi a lavorare da remoto, ad usare strumenti, applicazioni, piattaforme, ecc. nel lavoro di tutti i giorni. E allora perché nello stesso tempo sono aumentati disagio, stress, addirittura il numero di persone che, stanche o demotivate, lasciano l’azienda?
Secondo il report annuale 2021 Microsoft Work Trend Index, ben il 60% dei lavoratori percepisce il lavoro remoto come un allontanamento dalle relazioni personali, sulle quali si fonda ancora il senso di comunità di un team. In base ai dati raccolti invece dall’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano, la percentuale dei lavoratori che si sono sentiti pienamente ingaggiati sul lavoro si è ridotta di quasi la metà rispetto al 2019. Più di un quarto afferma, inoltre, di aver sofferto di “tecnostress”.
La tecnologia, nell’attuale contesto, viene vista spesso come ostacolo o causa di malessere, e in parte, o in alcuni momenti, forse lo è anche. Si è tanto parlato di tecnostress, di Zoom fatigue… È comprovato che stare troppo tempo al pc senza fare delle corrette pause o essere bombardati da più stimoli digitali contemporaneamente (video call, mail, messaggi su whatsapp…) riduce la capacità di concentrazione, la lucidità, il problem solving e, in generale, abbassa la soglia della performance. (Nisafani, Kiely & Mahony, 2020)
Tecnologia buona o tecnologia cattiva? La chiave della consapevolezza
È la tecnologia, allora, la causa del malessere diffuso? La risposta non può essere univoca. Gli strumenti tecnologici, proprio in quanto strumenti, sono di per sé neutri. L’aumento o la diminuzione del benessere delle persone dipendono dal modo in cui gli strumenti tecnologici vengono utilizzati, dallo scopo e dagli obiettivi che ne motivano l’impiego.
Le tecnologie possono essere, quindi, grandi alleate del benessere e della performance lavorativa, oppure nemiche che portano ai fenomeni di stress e burnout che abbiamo osservato negli ultimi tempi.
Come prendere la strada migliore?
La chiave di svolta risiede nella consapevolezza con cui vengono utilizzati gli strumenti tecnologici. In particolare, nell’approccio delle Tecnologie Positive che mira a costruire un utilizzo delle tecnologie volto ad “aumentare il benessere e generare punti di forza e resilienza negli individui, nelle organizzazioni e nelle società”. (Botella et al., 2012).
Le tecnologie diventano, così, alleate in un percorso di crescita e sviluppo non solo di chi le utilizza, ma anche delle organizzazioni cui appartengono. Ok, ma di quali tecnologie stiamo parlando? Possiamo pensare ad un utilizzo intelligente e costruttivo degli strumenti con cui la maggior parte delle persone lavorano, soprattutto da quando il lavoro ibrido è una realtà diffusa: smartphone, computer, piattaforme di co-working online e via dicendo.
Possiamo imparare ad utilizzare la tecnologia, che quotidianamente ci circonda, in modo che diventi uno strumento di empowerment delle nostre competenze e della qualità del nostro lavoro.
Ma possiamo andare oltre. Lo sviluppo tecnologico viaggia a velocità impressionanti e così siamo chiamati a fare anche noi. Oggi stiamo vivendo quella che viene definita la quarta rivoluzione industriale, con la nascita di tecnologie immersive come la Realtà Virtuale.
Nuovi strumenti e nuove possibilità si stanno evolvendo e ogni ambito, anche e forse soprattutto, quello lavorativo, è chiamato ad evolversi con essi. Nuove sfide e nuove opportunità si aprono all’orizzonte e, tra queste, la Realtà Virtuale e il Metaverso possono aprire la strada ad un nuovo modo di lavorare, a uno smart working che sia realmente smart.
Siamo, quindi, dell’idea che il nostro malessere non sia provocato tanto dal maggior utilizzo delle tecnologie, quanto piuttosto dal fatto che non abbiamo ancora imparato ad utilizzarle al meglio, in modo consapevole. NOT JET.
Quando lo smart working non è davvero smart
Quali sono i rischi di un lavoro ibrido inconsapevole e non progettato? All’inizio della pandemia le persone hanno reagito con un aumento del loro livello di engagement, che col tempo però ha lasciato spazio a fenomeni di stress, affaticamento, perdita di lucidità, calo di motivazione, senso di solitudine… (Gabriel & Aguinis, 2022)
La ricerca neuroscientifica ha messo in luce i 2 fattori che in questi anni di smart working (o forse sarebbe più corretto parlare di remote working) hanno contribuito a generare tecnostress e a ridurre la performance cognitiva: da un lato, l’utilizzo inconsapevole della tecnologia, dall’altro, la mancata frequentazione dei luoghi di lavoro.
L’iperconnessione, insieme all’iperstimolazione che ne deriva, sovraccarica il nostro cervello, riducendo la capacità di recupero, concentrazione e focalizzazione. È diventato più complesso dedicarsi con attenzione, cura e dedizione ad un’attività: numerose sono le domande a cui dobbiamo rispondere in poco tempo, altrettante le riunioni da remoto a cui partecipare senza sosta. Ciò, inevitabilmente, genera stanchezza non solo mentale, ma diffusa. (De Pisapia & Vignoli, 2021).
Gli effetti di uno smart working inconsapevole:
- Riduzione della capacità decisionale
- Fatica a immagazzinare informazioni e ricordare
- Minore creatività
- Stanchezza mentale e generale senso di affaticamento
- Perdita di lucidità e un maggior senso di confusione
- Solitudine
- Impoverimento del senso di identità professionale
- Fenomeni di disengagement
Inoltre, impatta sul nostro benessere anche lavorare da casa, perché si riducono gli spostamenti e le occasioni di socializzazione e collaborazione.
I vincitori del premio Nobel per la Medicina Edvard Moser, May-Britt Moser e John O’Keefe hanno studiato i neuroni GPS, quelle particolari cellule nervose che ci permettono di orientarci nello spazio, scoprendo non solo che hanno un ruolo fondamentale sulla nostra capacità di orientamento spaziale, ma che influenzano anche la memoria autobiografica, cioè la memoria collegata alle esperienze personali, volta ad alimentare il senso di sé. La costruzione dei ricordi e dell’identità personale si basa, quindi, sulla possibilità di vivere e muoverci nello spazio e frequentare ambienti tridimensionali. (Riva, Wiederhold & Mantovani, 2021).
Anche andare in ufficio e rimanere alla propria postazione, per lavorare al computer o interagire in riunioni sulle varie piattaforme, allontana dalle relazioni sociali e contribuisce al senso di solitudine e di affaticamento.
Un lavoro ibrido non accompagnato, dunque, dalla possibilità di frequentare e vivere l’ufficio con i colleghi, rischia di impattare negativamente sulla nostra capacità di creare nuovi ricordi e mina la nostra identità professionale, che ne risulta impoverita. (Baroni, 2008)
Questo fatto, unito sicuramente ad altre variabili – una fra tutte la rivalutazione del senso della propria vita dopo anni di crisi e di profondi cambiamenti – potrebbero essere le cause che hanno generato disagio, demotivazione e che hanno portato al fenomeno delle grandi dimissioni.
Cosa possono fare i/le manager per contrastare gli effetti negativi di un cattivo smart working? Non è possibile dare suggerimenti senza conoscere la realtà aziendale, per questo la nostra consulenza ai New Ways Of Working prevede almeno 4 momenti:
- ascolto e analisi
- co-design di nuovi processi organizzativi per un lavoro ibrido efficace
- supporto alla messa a terra di modelli di leadership in grado di stimolare engagement, performance e wellbeing
- progettazione di interventi formativi dedicati alle competenze necessarie nell’era del lavoro ibrido
Ma qui ci vogliamo concentrare su un’alternativa, una soluzione in più che si affaccia su questo scenario di lavoro ibrido: la Realtà Virtuale. Si è visto, infatti, che lavorare in VR produce l’attivazione dei neuroni GPS con un impatto positivo sulla memoria, sulla costruzione dell’identità professionale, sul senso di appartenenza e sul potenziamento di nuove capacità.
Metaverso: scienza e investimenti
Sebbene il metaverso richiami mondi virtuali immaginati dalla fantascienza (come Matrix o Snow Crash) e sia intrinsecamente collegato al gaming (come World of Warcraft o Call off Duty), non è fantasia né solo un gioco. Come viene raccontato ampiamente sul numero di aprile di MIND, Mente e Cervello (che ci dedica ben oltre 20 pagine) si tratta di una realtà già in essere, che poggia su una strategia consapevole e capace di mobilitare importanti investimenti.
Il progresso informatico cresce esponenzialmente (secondo la legge di Moore la complessità di un microcircuito raddoppia ogni 18 mesi) e questo porta inevitabilmente a nuove possibilità che, nel caso del web 3.0, si traducono in nuove modalità di interazione con gli strumenti tecnologici che permettono di entrare all’interno di internet e vivere la rete in modo immersivo. Quando Zuckerberg, il 28 ottobre scorso, ha annunciato la nascita di Meta e le infinte possibilità del Metaverso (“prevedo che nel metaverso sarai in grado di fare quasi tutto ciò che puoi immaginare, riunirti con famigliari, lavorare, imparare, giocare, fare acquisti, creare…”) lo ha fatto sulla scia di queste previsioni e sulla base di una strategia impostata da tempo.
La strategia contempla grandi investimenti da parte di Meta in acquisizioni tecnologiche (ad esempio, visori VR), in ricerca (indispensabile è infatti il progresso dell’intelligenza artificiale) e in assunzioni (in particolare di ricercatori).
Ma non è solo Meta ad investire: c’è Microsoft, che punta su videoconferenze, cloud e gaming, c’è Nvidia, che progetta ambienti simulati e AI per il design… E poi ci sono i brand di consumo, dalle griffe del lusso fino ai giganti del commercio al dettaglio che stanno investendo enormemente in questo nuovo mondo-mercato virtuale.
Anche se il metaverso tra un paio d’anni non sarà forse così grandioso come l’ha descritto Zuckerberg, possiamo essere certi che cambierà le nostre abitudini di vita, influenzando il nostro modo di relazionarci, di lavorare e di comprare.
Posizioni di chiusura, di eccessivo timore o di resistenza sono controproducenti, perché non aiutano a preparaci né a valorizzare le potenzialità della realtà estesa. Occorre un mindset curioso, aperto, che stimoli la ricerca e la sperimentazione. Numerosi sono gli ambiti di possibile applicazione, dalla medicina alla psicoterapia e alla formazione tecnica e comportamentale, passando per il potenziamento mirato di soft skill o per la trasposizione digitale di esperienze ed eventi.
Le aziende lungimiranti sono già impegnate nella sperimentazione della VR e noi, come MIDA, in particolare attraverso il WellBrain Project, il nostro hub di ricerca, comunicazione e intervento sui temi del wellbeing, supportiamo la messa a terra delle possibilità di applicazione, attraverso progetti mirati di ricerca e sperimentazione.
Prima di proseguire facciamo un po’ di chiarezza:
- Realtà aumentata (AR): tecnologia che aggiunge informazioni digitali a un contesto reale preesistente, sovrapponendo elementi digitali al mondo fisico.
- Realtà virtuale (VR): forma avanzata di interfaccia uomo-computer che permette di interagire e di immergersi in un ambiente generato da un computer
- Metaverso: nuova evoluzione di internet, una rete globale di mondi virtuali e contenuti 3D fruibili senza limitazioni, in ogni momento. La fusione tra mondo fisico e mondo reale.
Le potenzialità della Realtà Virtuale nel contesto lavorativo
Come possiamo approcciare, quindi, il mondo nascente e in rapida evoluzione del metaverso per creare nuove modalità di lavoro efficaci?
Tony Parisi, esperto di realtà virtuale e relatore nel summit On|Metaverse, suggerisce come porsi davanti a questa sfida: l’adozione delle nuove tecnologie immersive non deve essere dettata da una spinta volta all’innovazione fine a sé stessa o dovuta al celebre bias della contemporaneità catturato dall’acronimo FOMO, Fear Of Missing Out (paura di essere tagliati fuori).
L’adozione efficace delle nuove tecnologie si deve basare, invece, su motivazioni solide e su obiettivi chiari che danno il via ad un percorso di crescita. Perché le tecnologie siano un aiuto bisogna chiarire prima il motivo per cui le si vuole utilizzare. E quale motivo migliore se non la creazione di condizioni di crescita e fluorishing all’interno del mondo del lavoro?
Oggi più che mai viene riconosciuto il valore fondamentale dello sviluppo intelligente di soft e hard skills, inserito in un contesto di lavoro sostenibile e di benessere diffuso, sia organizzativo che individuale. Proprio in questo contesto, tecnologie come la VR possono svolgere un ruolo fondamentale.
Come? Almeno in tre modi:
Primo, tecnologie positive quali la Realtà Virtuale possono avvicinare le persone che lavorano a distanza, rendendo i meeting virtuali più efficaci e piacevoli. Collaborazione stretta, forte senso di vicinanza, comprensione reciproca non saranno più aspetti messi a rischio dalla lontananza fisica. Sarà invece possibile lavorare insieme, senza condividere lo stesso ambiente fisico, sfruttando al massimo le potenzialità e i risvolti positivi di un inserimento consapevole della tecnologia nelle nostre vite e nel nostro lavoro. Senza sostituire l’esperienza fisica del lavoro, che nella prospettiva dei New Ways Of Working deve anzi essere ripensata in modo da acquisire un nuovo e più pieno significato, l’utilizzo delle tecnologie positive può ad essa affiancarsi, offrendo un panel di esperienze più ricco e variegato (ad esempio attraverso nuove forme di co-working virtuale).
Secondo, le nuove tecnologie immersive possono essere “palestre” in cui allenare competenze e conoscenze. Attraverso la possibilità di mettersi alla prova in contesti virtuali protetti, le persone possono, infatti, agire (non immaginare, non simulare!) più facilmente nuovi modi di fare, ed apprendere più velocemente. Diverse sono le opportunità già presenti nel Metaverso di training virtuali di abilità tecniche, così come di soft skills, quali pubblic speaking, gestione emotiva, comunicazione efficace e via dicendo.
Non solo, i contesti virtuali immersivi, attraverso la loro capacità di far vivere e sperimentare “mondi possibili” (in cui addirittura si può volare con il proprio corpo o essere Albert Einstein) aprono inedite possibilità, oltre che di sperimentazione e di apprendimento di nuovi comportamenti, anche di progettazione di esperienze trasformative profonde, di evoluzione e cambiamento nella prospettiva più ampia della crescita umana. Attraverso la Realtà Virtuale si può accedere ad esperienze che non solo cambiano quello che “sappiamo” ma anche quello che “siamo”. (Riva e Gaggioli, 2019).
La crescita e l’evoluzione personale diventano obiettivi non solo desiderabili, ma realmente ed agilmente raggiungibili.
Le possibili applicazioni sono, quindi, innumerevoli e spaziano dalla costruzione di un lavoro ibrido che sia davvero sostenibile, allo sviluppo di nuove modalità per migliorare le competenze, fino ad arrivare alla possibilità di progettare design trasformativi che aprono a veri e propri cambiamenti personali, profondi e duraturi.
Il mondo del lavoro si sta già muovendo in questa direzione, e numerose aziende con esso, offrendo ai propri dipendenti la possibilità di crescere e mettersi alla prova utilizzando la VR. Non resta che esplorare questo nuovo ventaglio di possibilità future, sempre più vicine ad un presente reale.
Fonti
Baroni, M.R. (2008). Psicologia ambientale. Il Mulino, Bologna.
Botella, C., Riva, G., Gaggioli, A., Wiederhold, B. K., Alcaniz, M., & Banos, R. M. (2012). The present and future of positive technologies. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 15(2), 78-84)
De Pisapia, N., & Vignoli, M. (2021). Smart working mind: strategie e opportunità del lavoro agile. Il mulino.
Gabriel, K. P., & Aguinis, H. (2022). How to prevent and combat employee burnout and create healthier workplaces during crises and beyond. Business Horizons, 65(2), 183-192.
Gheno, L., & Pesenti, L. (2021). Smart working: una trasformazione da accompagnare.
Nisafani, A. S., Kiely, G., & Mahony, C. (2020). Workers’ technostress: A review of its causes, strains, inhibitors, and impacts. Journal of Decision Systems, 29(sup1), 243-258.
Osservatorio Smart Working – School of Management, Politecnico di Milano (2021)
Riva, G., Gaggiolo, A., (2019). Realtà Virtuali. Gli aspetti psicologici delle tecnoligie simulative e il loro impatto sull’esperienza umana. Giunti
Riva, G., Wiederhold, B. K., & Mantovani, F. (2021). Surviving COVID-19: The neuroscience of smart working and distance learning. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 24(2), 79-85
MIND, Mente & Cervello, Il mendile di psicologia e neuroscienze, n. 208, anno XX, aprile 2022