Inclusionland: Progettare Spazi (fisici e virtuali) Inclusivi
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Caduta nella tana del Bianconiglio, Alice si trova di fronte a molte porte, chiuse. Nota, infine, un’ultima piccola porticina… ma lei è decisamente troppo grande per passarci attraverso.
Nella fantasia dell’autore, la soluzione sarà una bottiglia misteriosa con su scritto “Bevimi”, che permetterà ad Alice di diventare della taglia “giusta”, così da poter proseguire nel suo viaggio.
Questa famosa scena di pura fantasia ci permette però di riflettere su un tema molto reale e attuale: quello dell’accessibilità.
Fermiamoci un attimo a riflettere: è Alice ad essere troppo grande, o le porte ad essere troppo piccole? Per le informazioni in nostro possesso Alice è una bambina “nella media”, ma nel momento in cui decide di passare attraverso quella porta, sembra essere fuori misura.
ACCESSIBILITÀ SENZA LIMITI
Fuor di metafora, o meglio fuor di racconto: è nella relazione con il contesto, nel contatto tra le caratteristiche dell’individuo e quelle dell’ambiente che emergono i bisogni specifici di ognuno e l’eventuale inaccessibilità.
Persino luoghi e azioni che diamo per scontati, che ci sono da sempre familiari, possono rivelare delle insidie se cambia la nostra condizione, anche temporaneamente. Immaginate di aver preso una brutta storta e di avere difficoltà a camminare. La mensa dell’ufficio non vi è mai sembrata così lontana… o forse lo è sempre stata e non ve ne eravate accorti?
Questo per quanto riguarda lo spazio fisico. Ma oggigiorno non è l’unico spazio a cui possiamo pensare: le nostre vite sempre più digitali ci portano ad essere in contatto costante con il mondo (e quindi lo spazio) digitale. E basta davvero poco per sentirsi tagliati fuori.
Facciamo un altro piccolo esercizio di immaginazione. Siete in trasferta, avete con voi solo il vostro laptop, ed improvvisamente il trackpad si blocca. Niente da fare, non potete più cliccare da nessuna parte: l’unica opzione per continuare è navigare le pagine da tastiera. Ma “non si capisce niente!”, vi sembra di navigare la pagina senza una logica… o forse davvero gli elementi selezionati non sono stati ordinati in maniera rigorosa?
Beh, eccovi a vivere la giornata tipo di una qualunque persona con disabilità. Nella finzione narrativa, è Alice che si adatta allo spazio, bevendo un misterioso intruglio che ne cambierà la stazza. Nella realtà però non ci sono pozioni magiche e capita ancora troppo spesso che gli spazi (fisici e virtuali) siano fonte di esclusione e isolamento.
Perché succede? Cosa si può fare per cambiare le cose?
Iniziamo con una presa di coscienza: nostro malgrado abbiamo interiorizzato una qualche forma di “abilismo” (qui la definizione dell’enciclopedia) che ci ha portato finora a disegnare il mondo in virtù di ciò che è “normale”, di chi è abile. Questo nonostante i numeri: solo nell’UE 87 milioni di persone vivono con una qualche forma di disabilità (approfondimento qui).
In uno degli esempi presentati poco sopra, abbiamo fatto riferimento ad una semplice storta, e all’annessa difficoltà di movimento (momentanea). La scelta non è stata casuale: nel corso del tempo, infatti, il concetto di disabilità si è evoluto, e con esso abbiamo acquisito coscienza del fatto che tutti vivremo ad un certo punto con una qualche forma di disabilità, sia essa anche solo situazionale (legata al contesto) o momentanea.
Tutti dovremmo pensare a noi stessi come temporaneamente non affetti da disabilità, perché a un certo punto della nostra vita, quando invecchieremo, probabilmente lo saremo. Mike Wald, University of Southampton
La realtà è che non conosciamo l’altro e tantomeno possiamo prevedere come saremo noi domani o fra qualche anno. Perciò, è bene progettare già da oggi lo spazio, sia fisico che virtuale, in modo tale che sia adatto al maggior numero di persone possibile. In questo modo l’accessibilità diventerebbe progressivamente un attributo naturale, un punto di partenza, e non più l’eccezione.
Lo spazio fisico: che impatto hanno gli ambienti che frequentiamo?
Non siamo abituati a concepire l’ambiente come un fattore estremamente influente per la nostra vita.
Eppure, viviamo costantemente a contatto con gli spazi: dalla nostra casa, all’ufficio, al supermercato, alla farmacia o al bar dove ci troviamo la sera con gli amici, e non ci rendiamo veramente conto di come sono fatti.
Avete mai notato che nei supermercati non ci sono finestre e nemmeno orologi per non farvi percepire il passare del tempo? O avete mai notato come cambia il vostro umore quando avete la possibilità di vedere un parco o uno spazio verde fuori dalla vostra finestra piuttosto che stare chiusi al buio di una stanzetta, soli davanti a uno schermo?
Tutto ciò che ci circonda è studiato, più o meno bene e più o meno consapevolmente, per far sì che possiamo svolgere le attività quotidiane senza intoppi o per creare volutamente un impatto ben preciso sulle persone che frequenteranno un certo spazio.
Sembra tutto scontato, facile, ma non lo è affatto. Provate ora a immaginare di essere in un ufficio fatto di scale infinite, percorsi disorientanti e senza senso, buio e caos, un rumore assordante, di essere insomma catapultati di punto in bianco in qualcosa di molto simile a un quadro di Escher.
Come vi sentireste?
E immaginate di aver affrontato da poco una piccola operazione ai denti che però vi crea fastidiosi mal di testa e di dover stare in un open space in mezzo a 50 persone che parlano tutte insieme e non avere un posto tranquillo dove rifugiarvi.
Probabilmente non alterarsi in questo caos sarebbe una sfida da aggiungere a quelle di tutti i giorni, e di certo non un incentivo a rendervi collaborativi e prestanti nel vostro lavoro, anzi. Immaginandovi lì, sareste ancora sicuri che la scelta di come configurare uno spazio non vi tocca da vicino?
Immaginate come si possa sentire accolto chi vive queste o altre limitazioni in modo permanente e non solo per pochi giorni, senza la possibilità di bere una pozione per trasformarsi e far passare tutto, e con l’obbligo quindi di spendere un sacco di energie per adattarsi alle circostanze e darsi l’opportunità di sentirsi utile nonostante le difficoltà, nonostante i limiti che non si è neanche scelto.
La configurazione dello spazio, così come la nostra condizione fisica che potrebbe, come sottolineato più volte, mutare inaspettatamente da un giorno all’altro, interagiscono costantemente, e prestare la giusta attenzione a questa connessione è fondamentale affinché il primo non sia di ostacolo al secondo, affinché la maggior parte delle persone abbia la possibilità di dare il proprio contributo e sentirsi realizzato.
Come si può favorire la progettazione di uno spazio accessibile, quindi inclusivo?
Una prima risposta è data dalla normativa italiana che, con il DM 236 del 14 giugno 1989 e i P.E.B.A. del 1986, introduce due strumenti volti a monitorare, progettare e pianificare interventi a prova di barriere architettoniche, che favoriscano la fruizione senza impedimenti degli spazi da parte di bambini, anziani e persone con difficoltà motorie, sensoriali o psichiche. L’obiettivo di questa norma è quello di fornire una serie di buone pratiche, in questo caso obbligatorie, per un progettista che va a riconfigurare o a progettare un nuovo spazio, pubblico o privato, garantendo il rispetto dei vincoli che queste persone vivono e affrontano ogni giorno, o un’adattabilità degli spazi in caso di necessità.
Ma c’è di più. La progettazione di uno spazio inclusivo non è solo eliminazione delle barriere architettoniche e quindi degli ostacoli. Inclusione è anche ascolto, mediazione, attenzione nei confronti dei desideri e delle aspettative delle persone che andranno a vivere in quello spazio. È conoscenza di chi lo abiterà, prima ancora del disegno a matita.
Non basta più capire le esigenze, è necessario conoscere meglio chi vivrà quegli spazi per favorire una maggiore adattabilità e, di conseguenza, un miglior modo di vivere quegli ambienti. Tutto questo può essere favorito dalla scelta di una progettazione integrata, orizzontale, che metta in connessione chi è in grado di disegnare lo spazio e chi è in grado di capire al meglio le esigenze e le necessità di chi lo abiterà.
È dallo studio dei bisogni e dei desideri dell’essere umano che nascono ambienti inclusivi e adatti al maggior numero di persone possibile. Non è certo un tema semplice, richiede capacità, un orientamento consapevole verso una visione inclusiva dello spazio, e professionisti in grado di riconoscere l’importanza di offrire un ambiente il più adatto possibile alle esigenze di ciascuno. Ma certamente ne vale la pena se si pensa al risultato e all’impatto favorevole che ambienti ben studiati possono avere sugli utenti stessi.
Da dove è possibile partire? Nuove direzioni di lavoro
I sostenitori dell’Universal Design, o Design for All, si sono interrogati molto sul tema e si interrogano tuttora, proponendo un approccio inclusivo alla progettazione di spazi, ambienti e oggetti.
Il loro scopo non è quello di costruire edifici e spazi pensati e realizzati specificatamente per i disabili, ma consiste nella realizzazione di ambienti capaci di soddisfare le esigenze del maggior numero di persone possibile, spazi che risultino inclusivi in tutte le loro caratteristiche, in maniera naturale.
Questo perché nell’epoca in cui viviamo è impossibile continuare a ignorare i diritti di una parte della popolazione: è diventato necessario orientare la ricerca, i progetti e gli interventi verso la risoluzione di determinati problemi, creando soluzioni che siano alla portata di tutti.
Nel progettare spazi, servizi e informazioni, dunque, è indispensabile valutare i bisogni di oggi, considerando anche le esigenze e i desideri dei fruitori di domani. È indispensabile anche essere consapevoli che non esiste uno standard fisso, ma che inclusione significa avere una visione più eterogenea, ispirata a persone numerose, diverse e reali, e non ideali.
Lo spazio virtuale
Sul fronte digitale, il moltiplicarsi delle normative ha fatto sì che l’argomento venisse alla ribalta, ricevendo finalmente la dovuta attenzione.
Ci troviamo infatti in un contesto normativo che ci ricorda, da un lato, che la discriminazione è un reato (Costituzione, art. 3), legge dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Legge n. 18 del 3 marzo 2009) e, dall’altro, che l’accessibilità è un diritto inalienabile (ad esempio, Direttiva (UE) 2016/2102, Decreto Legislativo n. 106 del 10 agosto 2018, Direttiva (UE) 2019/882 – European Accessibility Act).
Ma non solo. Ad aumentare l’attenzione ha contribuito la norma che prevede l’ampliamento dell’obbligo di garantire l’accessibilità delle pagine web a partire dal 2025. Da quel momento in poi, infatti, non soltanto la pubblica amministrazione, ma anche tutte quelle aziende che si occupano di: computer e sistemi operativi, ATM e biglietterie, smartphone, TV e servizi televisivi, telefonia, trasporti, servizi bancari, e-book ed e-commerce, dovranno adeguarsi.
Cosa si intende concretamente per accessibilità quando parliamo di digitale?
La definizione di accessibilità, nella sua formulazione più semplice, riguarda la possibilità di un contenuto di essere fruito, consultato, usato. Di essere accessibile!
Il concetto può essere meglio esplicitato parlando dei 4 principi, i POUR, ovvero le 4 caratteristiche di un contenuto accessibile:
- Perceivable, ovvero che può essere percepito, attraverso varie modalità;
- Operable, cioè utilizzabile, con cui si possa interagire;
- Understandable, quindi comprensibile, realizzato seguendo principi di chiarezza e coerenza;
- Robust, che sta per solido, utilizzabile da più sistemi.
Nuovi criteri e linee guida sono stati individuati dal World Wide Web Consortium (W3C), che li ha delineati in un insieme di principi operativi, le WCAG (Web Content Accessibility Guidelines). Questi ultimi costituiscono una checklist di parametri da rispettare per essere sicuri di realizzare contenuti accessibili.
Ultima ma non meno importante considerazione: così come per la progettazione degli spazi fisici, anche per la progettazione di quelli digitali si può fare riferimento ad alcuni approcci metodologici, in particolare quello del “Design Inclusivo”, che prevede il coinvolgimento di diversi gruppi di persone, rappresentativi di esigenze diverse, e che possano attivamente partecipare al processo di design.
Il tutto può sembrare estremamente complesso e molto tecnico ad un primo sguardo (ed in parte sicuramente lo è), ma la parte davvero importante è acquisire consapevolezza. Prendere coscienza di quanto sia assolutamente imprescindibile tenere conto delle esigenze di tutti, e soprattutto di chi ha bisogni diversi dai nostri, è il primo fondamentale passaggio.
Andando a consultare le statistiche degli errori più frequenti all’interno delle pagine web, ci rendiamo conto infatti che la maggior parte di essi è di facile soluzione: alcune accortezze di base possono migliorare in maniera esponenziale l’esperienza di un gran numero di utenti.
In linea con questi pensieri e sempre attenta e sensibile al tema dell’inclusione, anche la Tribe Inclusion di MIDA si sta muovendo e ha aperto una prospettiva di ricerca per approfondire questo tema, partendo dalla ricerca di strumenti di misurazione, fondamentali per diventare consapevoli del punto di partenza in cui ci si trova in ottica di inclusione e spazi inclusivi, ponendosi una domanda fondamentale: “Cosa possiamo fare noi per favorire la trasformazione degli spazi (fisici e non) in modo che siano inclusivi?” Il primo passo per diventare consapevoli che si può fare di più.
Articolo scritto in collaborazione con Lucrezia Collavizza.