DE&I e multiculturalità in azienda: intervista a McDonald’s
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Nelle aziende italiane serve diffondere informazioni utili e best practice sugli interventi DE&I armonici con il nostro contesto sociale e culturale. Intervistiamo per questo ogni mese responsabili di grandi aziende che operano nel nostro Paese e che costruiscono strategie di Diversity Equity e Inclusion. Oggi abbiamo il piacere di parlare con Cinzia Marzano, International Diversity, Equity & Inclusion Manager di McDonald’s Corporation
Sei da poco diventata International DE&I manager per McDonald’s, ci racconti dove si colloca il tuo ruolo e come viene gestita la DE&I a livello internazionale?
Il nostro approccio ha un raggio di azione molto ampio: la nostra aspirazione globale consiste nel riconoscere che la DEI è un asset sistemico. Dobbiamo quindi essere in grado di influenzare, supportare e coinvolgere tutte le nostre funzioni e tutti i nostri stakeholder: dipendenti, licenziatari (franchisees), i fornitori, i clienti e le comunità in cui operiamo.
In quanto azienda globale vogliamo arrivare con un’unica voce coerente e riconoscibile ma, al tempo stesso, vogliamo essere rilevanti a livello locale, per portare un cambiamento che sia realmente significativo per i singoli mercati in cui operiamo. Ed è qui che entra in gioco il mio ruolo!
Nella struttura globale, che ha sede a Chicago, il team di Diversity Equity and Inclusion è composto da 25 colleghi, un team nuovo creato poco più di un anno fa. All’interno del team Global che ha come target gli stakeholder di cui abbiamo parlato prima, è stato creato il mio team di International Diversity, Equity and Inclusion, composto da una Sr. Director che vive negli Stati uniti e che tra un anno e mezzo ci raggiungerà a Londra, e da 3 Manager con sede a Londra (me inclusa).
Il nostro team si occupa di DEI per i mercati internazionali, declinando la strategia Global in base alle caratteristiche dei Paesi di destinazione. Operiamo in più di 100 Paesi e la divisione dell’area di responsabilità di ciascuno di noi è stata guidata principalmente dal modello del business (McDonald’s possiede solo il 10% dei propri ristoranti, il 90% sono franchising!) e alla dimensione dei mercati. Io personalmente supporto gli 11 mercati europei più grandi: Austria, Belgio, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo, Rep. Ceca e Slovacchia, Spagna, Svizzera, Russia e Ucraina.
LA SFIDA: Quali sfide ci sono nell’adattare la strategia a contesti culturali diversi? E in particolare come si coniuga un’impronta US in altre parti del mondo?
McDonald’s è un’azienda americana e, in quanto tale, i nostri valori e le nostre strategie sono figlie della cultura nordamericana, area geografica in cui la DEI vanta la propria culla.
L’inclusione è infatti uno dei 5 valori che ci guidano quotidianamente in tutto quello che facciamo, e la nostra mission lo esplicita molto concretamente: “making delicious feel-good-moments easy for everyone”. Crediamo quindi che sia fondamentale che il nostro impegno per l’inclusione e l’equità siano evidenti ogni volta che interagiamo con le nostre persone, ovunque siano nel mondo.
Tuttavia, affinché la nostra strategia possa avere un reale impatto positivo in ogni mercato è fondamentale adattarla al Paese di destinazione. Ci sono tre livelli di adattamento.
I REQUISITI LEGALI DELLE STRATEGIE DE&I
Si tratta di un primo livello di adattamento che, a mio parere, è anche il più semplice e immediato. Alcuni dati che possono essere legalmente raccolti dal datore di lavoro negli Stati Uniti non possono infatti essere sondati in altri Paesi.
IL CONTESTO SOCIO-CULTURALE DELLE STRATEGIE DE&I
Un secondo livello da tenere in considerazione quando la strategia globale deve essere applicata al mercato di destinazione è il contesto socio-culturale. Tema molto affascinante ma anche più complesso: in primo luogo è necessaria una profonda conoscenza della storia, della cultura e della società locale; in secondo luogo il cambiamento culturale tocca corde molto più profonde e possono essere necessari decenni per osservare miglioramenti, ma soprattutto grandi abilità di leadership e di persuasione per convincere un mercato a provare ad attivare strategie di change management in consuetudini, prassi e credenze parti integranti di quel mercato. L’ostacolo può apparire più impegnativo quando non si appartiene alla cultura di destinazione e si viene quindi visti come un attore esterno e non partecipante alla cultura locale.
Per studiare a fondo le culture dei nostri mercati, per capire fino a che punto diversità, equità e inclusione sono a oggi integrate in maniera strategica nelle funzioni dei diversi Paesi, e poter quindi identificare insieme a loro best practice di successo e aree di opportunità , come prima azione concreta stiamo realizzando un assessment nei mercati più grandi: si tratta di una survey da sottoporre ai dipendenti degli uffici e dei ristoranti, un benchmark per studiare come la DEI impatta nelle varie funzioni. Questo proprio perché non vogliamo dare nulla per scontato e vogliamo quanto più possibile supportare i mercati nell’integrare la DEI nella loro strategia in maniera rilevante.
IL LINGUAGGIO PER DE&I
Altro aspetto che secondo me rappresenta una sfida nel mondo della DEI a livello internazionale è il linguaggio: in un settore in cui il linguaggio crea la realtà rendendola visibile, una conoscenza eccellente della lingua di origine e della lingua di destinazione è ovviamente fondamentale per “portare a bordo” tutti gli stakeholder e, operando su un numero così elevato di mercati questo non è sempre possibile. Oltre all’aspetto legale e culturale, credo quindi che individuare delle strategie per rendere il linguaggio adatto e accessibile a tutti sia vincente per gestire con successo la DEI in ambito internazionale.
LA PERSONA: Con questo nuovo ruolo sei anche passata a un settore diverso, oltre che a cambiare paese. Come si riflette in quello che fai e come vivi questo cambio?
Credo di non essermi mai sentita cosi europea in vita mia!!! A parte gli scherzi, rappresentare e al tempo stesso supportare i mercati europei mi lusinga e mi fa rendere conto di come, seppur ogni Paese abbia una storia, una cultura e un frame legale differenti, abbiamo delle basi storiche comuni che ci portano ad avere un approccio alle dimensioni della DEI molto simile. I mercati si sentono capiti e quindi più liberi di aprirsi e anche per me è ovviamente più facile supportarli e quindi creare una partnership di successo.
Personalmente amo Londra e possiamo tranquillamente definirla l’avamposto della diversità e dell’inclusione in Europa se non nel mondo: ho avuto la fortuna di viaggiare molto eppure mi sono stupita quando la prima infermiera che ho incontrato a novembre, durante una rapida visita nella City ai tempi del covid, indossava il velo o nell’osservare durante una passeggiata sul Tamigi come il cross dressing sia qualcosa di diffuso e accettato, o ancora nell’accendere la TV e vedere rappresentate le disabilità in pubblicità che non promuovono prodotti destinati solo a persone con disabilità. Vivere qui mi permette quindi una crescita professionale e personale di cui sono molto grata.
LE PRIORITÀ: McDonald’s è un’azienda con un forte posizionamento su queste tematiche. Come continuare a tenere la DE&I al centro della sua strategia?
Le nostre priorità sono riassunte nei 3 pilastri della nostra strategia: rappresentare la diversità delle nostre comunità, accelerare una cultura di inclusione e abbattere le barriere di accesso alle opportunità economiche.
Per continuare ad avere un impatto positivo sul business e mantenere quindi la DEI come priorità della nostra strategia dobbiamo innanzitutto considerare la DEI come uno strumento di change management e non come una materia di esclusivo appannaggio della funzione People.
Inoltre, capire e trasmettere che la DEI è un prezioso alleato che consente a un’organizzazione complessa di essere sostenibile sul lungo termine e poter quindi rispondere in maniera robusta alle sfide della società attuale e futura: una clientela sempre più globale, i cambiamenti nella forza lavoro (pensiamo al fenomeno della “Great Resignation”), la necessità di sviluppare leve di attraction e retention per le generazioni più giovani, e ancora la rivoluzione tecnologica sempre più dirompente.